Deo gratias. Oggi gli americani votano per darsi questo benedetto quarantaquattresimo presidente, di cui si discute da oltre un anno e mezzo anche alla trattoria Falconi di Ponteranica dove, spesso, mentre ceno qualcuno si avvicina al mio tavolo: scusi se la disturbo intanto che mangia, ma cosa ne dice lei dell’Obama? Chi? Massì, quel négher lì della Casa Bianca. Non se ne può più. In Europa, in Italia sta succedendo l’ira di Dio ma i giornali, anche quelli locali di norma impegnati a raccontare di vecchiette fulminate dal ferro da stiro o di feste della castagna, si occupano con passione degli Usa nei quali un cronista su dieci sì e no ha messo piede. Le televisioni, fossero anche videocitofoni, fanno altrettanto con l’aggravante del dibattito cui partecipano professori di ginnasio e sindacalisti di fama rionale. Sembra che le sorti del mondo e magari la sua rinascita dipendano dal successore di Bush, come se un uomo solo al comando bastasse, in una democrazia per quanto presidenzialista, a modificare il destino di un Paese alle prese con una crisi finanziaria ed economica di cui si è capito solamente che non si capisce niente.
Mi pare che questo editoriale di Vittorio Feltri - per vostra fortuna non tutto disponibile gratuitamente, ma vi basti il fulminante attacco, per usare una scrittura mimetica rispetto alla prosa al Branzi del nostro - spieghi la battuta di Silvio Berlusconi su Barack Obama meglio di quanto possano fare una squadra di antropologi specializzati in culture prealpine e pedemontane.
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